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Biografia
Fabrizio
de André
Riporto in questa pagina solo alcuni momenti essenziali della vita di Fabrizio
De André.
Per non disturbare troppo la lettura, non ho indicato di volta in volta le fonti
delle varie notizie e delle citazioni riportate.
Ritengo però doveroso segnalare i testi da cui le ho principalmente attinte,
ovvero:
L. Granetto (a cura di), Canzoni di Fabrizio De André, Lato Side, Roma 1978.
C.G. Romana (a cura di), Amico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer
Editori, Milano 1991.
D. Fasoli, Passaggi di tempo. Da Carlo Martello e Princesa, Edizioni Associate,
Roma 1999.
L. Viva, Vita di Fabrizio De André. Non per un Dio ma nemmeno per gioco,
Feltrinelli, Milano 2000.
Fabrizio Cristiano De André nacque a Genova Pegli, in Via De Nicolay 12, il 18
febbraio 1940. Leggenda vuole che sul grammofono di casa, per alleviare le
doglie della moglie, il professor Giuseppe De André mettesse il Valzer campestre
di Gino Marinuzzi, da cui anni dopo Fabrizio avrebbe tratto spunto per uno dei
suoi primi brani, Valzer per un amore.
A causa della guerra, che aveva indotto molta gente a sfollare, trascorse i
primissimi anni della sua vita nella casa di campagna di Revignano d'Asti, in
compagnia della madre (Luisa Amerio), del fratello Mauro e delle due nonne,
mentre il padre fu costretto alla macchia per sfuggire ai fascisti che lo
braccavano.
Quel breve periodo fu sicuramente uno dei più importanti e formativi per lui:
per il tipo di vita che condusse, libero e spensierato, e per alcuni incontri
determinanti, come quello col fattore Emilio Fassio, che gli trasmise l'amore
per gli animali e per un ambiente che Fabrizio ricercherà per tutta la vita.
L'infanzia a Revignano d'Asti e i personaggi che la popolarono - come la piccola
Nina Manfieri (cui molti anni dopo dedicherà la canzone Ho visto Nina volare) o
i contadini Emilio e Felicina Fassio - rimarranno fonte di rimpianto e di
ispirazione fino alla sua ultimissima produzione.
Come ha raccontato la madre, "Fabrizio era felicissimo di correre per i campi,
di seguire i contadini nel lavoro, di andare a caccia con loro... Finita la
guerra eravamo tutti felici di ritornare in città. Lui era disperato... Aveva
cinque anni. Fu una dura sofferenza per lui, abituato com'era a correre libero
per i prati... Fin da piccolo non sopportava di veder la gente soffrire. Quando
uscivamo insieme, ogni volta che incontravamo un mendicante mi obbligava a
fermarmi e a dargli dei soldi" [In queste ultime parole emerge la spontaneità,
direi quasi l'innatezza della dimensione solidaristica del futuro anarchico].
Al termine del conflitto, la famiglia ritornò a Genova stabilendosi nella nuova
casa di Via Trieste 8. Nell'ottobre del 1946 Fabrizio fu iscritto alla prima
elementare presso l'Istituto delle suore Marcelline, che egli - manifestando fin
da allora l'insofferenza agli spazi ristretti e alla disciplina, ma anche una
vena ironica che saprà spesso trasformarsi in autoironia - ribattezzò
"Porcelline". Vani essendo risultati i tentativi delle monache di indurlo a
studiare, i suoi decisero di iscriverlo per l'anno successivo a una scuola
statale: Fabrizio iniziò così la seconda elementare alla scuola Armando Diaz, in
via Cesare Battisti 5.
Nell'agosto 1948, a Pocol, sopra Cortina, incontrò per la prima volta Paolo
Villaggio, allora sedicenne. I due simpatizzarono subito, ma i sette anni di
differenza non permisero allora che quella simpatia sfociasse in una vera e
propria amicizia. Paolo e Fabrizio si persero così di vista per ritrovarsi solo
una decina di anni dopo sulle tavole di un palcoscenico; e da quel momento
divennero inseparabili.
Nell'estate del 1950, terminata la quarta elementare, Fabrizio trascorse
l'ultima vacanza a Revignano. Il professore aveva infatti deciso di vendere il
cascinale e di acquistare un appartamento ad Asti. Fabrizio soffrì moltissimo,
perché a quel luogo erano legati i suoi più bei ricordi d'infanzia. Dentro di sé
decise che, una volta diventato grande, avrebbe ricomprato il cascinale e
comunque non avrebbe abbandonato quei posti che tanto amava. Quel desiderio lo
avrebbe accompagnato negli anni a venire e, agli amici che aveva (e che avrebbe
avuto) non mancò di confidare il desiderio di un'azienda agricola tutta per sé.
Anni dopo realizzerà questo sogno, anche se al di là del suo mare, in Sardegna.
Nell'ottobre del 1951 Fabrizio iniziò le medie alla Giovanni Pascoli, nello
stesso complesso scolastico che ospitava le elementari Armando Diaz. Ma,
attratto com'era dal gioco e dalla vita di strada, non mostrava interesse allo
studio, tanto da rimediare una bocciatura in seconda. Il padre, infuriato,
decise allora di affidarlo ai rigidissimi gesuiti della Arecco, ma un
deprecabile episodio con un padre "bulicio" (omosessuale) lo indusse poi a
fargli terminare le medie nell'Istituto Palazzi, di cui era proprietario.
"Dopo le medie - ha raccontato ancora la madre - si iscrisse al liceo classico
Colombo, che frequentò regolarmente fino alla licenza. Nelle materie letterarie
andava abbastanza bene, anche se non studiava molto, ma in quelle scientifiche
faceva fatica. Comunque non faceva proprio nulla per prendersi un bel voto; gli
bastava la sufficienza... La sua passione era sempre la musica. Aveva avuto in
regalo una chitarra e non la lasciava mai, neppure quando andava in bagno...
Incominciò a scrivere qualche canzone, a cantarla".
Proprio durante gli anni del liceo avvenne un'esperienza determinante per De
Andrè: nella primavera del 1956, infatti, suo padre portò dalla Francia due 78
giri di Georges Brassens. Dall'incontro col grande cantautore francese, Fabrizio
ricavò stimoli per la lettura di autori anarchici che non abbandonerà più:
Bakunin, Malatesta, Kropotkin, Stirner. Inoltre, nel mondo cantato da Brassens,
egli ritrovava quei personaggi così umili e veri che vivevano nei caruggi della
sua città e che troveranno spazio, comprensione e dignità nelle sue canzoni.
De André si iscrisse anche all'università, ma le sue scelte confermarono la
scarsa propensione agli studi "ufficiali": frequentò medicina, poi lettere e
infine giurisprudenza, senza laurearsi. Le sue giornate trascorrevano infatti
tra musica, letture (Villon e Dostoevskij, sempre Bakunin e Stirner) e,
soprattutto, serate in compagnia degli amici Luigi Tenco, Gino Paoli, Paolo
Villaggio e altri. Affermerà in seguito, ricordando quel tempo: "Ebbi ben presto
abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l'ansia per
una giustizia sociale che ancora non esiste, e l'illusione di poter partecipare,
in qualche modo, a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben
presto, la prima rimane".
Intanto, nel 1958, aveva composto Nuvole barocche e E fu la notte, brani modesti
scritti in collaborazione, che anni dopo Fabrizio definirà come "due peccati di
gioventù". E infatti, già nell'estate del '60, scrisse insieme a Clelia
Petracchi quella che ha sempre considerato la sua prima vera canzone, La ballata
del Miche', che rimane, se non una delle più belle, una delle più note e, in
considerazione dei soli vent'anni dell'autore, una delle più significative.
Nel luglio 1962 sposò Enrica Rignon (detta Puny) e il 29 dicembre dello stesso
anno nacque il figlio Cristiano. Fabrizio aveva appena ventitue anni, una
famiglia e, più che un lavoro, un hobby poco redditizio. Ma una svolta nella sua
carriera si verificò nel 1965, allorché Mina interpretò una sua composizione, La
canzone di Marinella, che divenne immediatamente un best seller e lo impose
all'attenzione generale. "Mi arrivano seicentomila lire in un semestre (per
quegli anni una somma davvero considerevole) - dichiarò Fabrizio in
un'intervista. - Allora ho preso armi e bagagli, moglie, figlio e suocero e ci
siamo trasferiti in Corso Italia, che era un quartiere chic di Genova. Quindi
chiusa la storia con la laurea e con tutto il resto. Da quel momento, cominciai
a pensare che forse le canzoni m'avrebbero reso di più e, soprattutto, divertito
di più".
Sulla spinta di questo successo, nel 1966 vide la luce l'LP d'esordio: Tutto
Fabrizio De André, contenente alcuni dei migliori brani scritti fino a quel
momento, tra cui La canzone di Marinella, La guerra di Piero, Il testamento, La
ballata del Miché, La canzone dell'amore perduto, La città vecchia, Carlo
Martello.
Al 33 giri fece seguito nel 1967 Volume I, in cui spiccano Via del Campo, Bocca
di rosa e Preghiera in gennaio: le prime due dedicate, con profondo senso di
solidarietà e comprensione, a due figure di prostitute; la terza composta in
occasione e a ricordo della tragica morte dell'amico Luigi Tenco, suicidatosi il
27 gennaio a Sanremo.
Con questo album si aprì la stagione più prolifica della carriera di De André; a
breve distanza uno dall'altro uscirono infatti: Tutti morimmo a stento (1968),
Volume III (1968), La buona novella (1970), Non al denaro non all'amore né al
cielo (1971), Storia di un impiegato (1973), Canzoni (1974) e Volume VIII
(1975).
Nel 1975 De André, che aveva sempre rifiutato il faccia a faccia col pubblico,
esordì dal vivo nel locale simbolo della Versilia, "La Bussola". Nonostante i
suoi timori (sembra che all'ultimo momento non volesse più salire sul palco), il
concerto fu un vero e proprio successo.
Coi soldi guadagnati acquistò un'azienda agricola nelle vicinanze di Tempio
Pausania, in Sardegna. E nel 1977, dall'unione con Dori Ghezzi (la cantante
milanese alla quale si era legato dal 1974, dopo la separazione dalla prima
moglie), nacque Luisa Vittoria, detta Luvi. Subito dopo uscirono gli album
Rimini (album) (1978), scritto in collaborazione con Massimo Bubola, e In
concerto con la PFM (1979).
La sera del 27 agosto 1979 Dori e Fabrizio furono sequestrati e rimasero
prigionieri dell'Anonima per quattro mesi. La drammatica esperienza non cancellò
tuttavia l'amore di Fabrizio per la sua terra d'adozione; tant'è vero che non vi
è traccia di rancore nelle dichiarazioni da lui rilasciate dopo la liberazione:
"I rapitori - disse - erano gentilissimi, quasi materni... Ricordo che uno di
loro una sera aveva bevuto un po' di grappa di troppo e si lasciò andare fino a
dire che non godeva certo della nostra situazione".
Il 29 ottobre 1980, all'età di sessant'anni, moriva l'amato Brassens, ucciso da
un tumore. De André ebbe a dire un anno dopo, durante un'intervista concessa al
quotidiano "La Stampa": "Pur avendone avuto la possibilità, non ho mai voluto
conoscerlo personalmente, per evitare che diventasse una persona e magari
scoprirlo anche antipatico. Per me è stato un mito, una guida, un esempio; è
grazie a lui che mi sono avvicinato all'anarchismo. Egli rappresentava il
superamento dei valori piccolo-borghesi e insegnò anche ai borghesi certe forme
di rispetto ai quali non erano abituati. I suoi testi si possono leggere anche
senza la musica. Per me è come leggere Socrate: ti insegna come comportarsi o,
al minimo, come non comportarsi".
Dopo un periodo di riposo, il cantautore tornò all'attività con un album,
Fabrizio De André (Indiano) (detto così per via del disegno di copertina), che
contiene un brano, Hotel Supramonte, che è la rievocazione dei traumi e delle
incertezze patiti durante il rapimento.
Nel 1984 uscì Creuza de mä (album), da molti critici considerato il suo
capolavoro. Il disco, che gli valse numerosi premi e riconoscimenti e che venne
presentato al pubblico nel corso di una memorabile tournée col figlio Cristiano
e con Mauro Pagani (della PFM), evoca suoni, profumi, voci, odori e sapori di
tutto il Mediterraneo, ma è soprattutto - come lo ha definito Luigi Viva - "un
canto d'amore a Genova".
L'anno successivo Fabrizio fu colpito da un grave lutto: all'età di 72 anni
moriva infatti suo padre, uomo influente e assai noto a Genova. In un'intervista
all'amico Cesare G. Romana dirà: "Il problema non è che gli volevo bene, perché
questo non finisce. Il problema è che lui ne voleva a me".
Pochi anni dopo, nell'estate del 1989, morì il fratello Mauro, colpito da
aneurisma. Aveva appena 54 anni, e Fabrizio fu naturalmente scosso dalla
terribile notizia: "Alla morte di mio padre, almeno, eravamo preparati: era
anziano. Ma Mauro...".
Ci furono, però, anche momenti lieti, come il matrimonio con Dori Ghezzi,
celebrato nel dicembre del 1989 dopo quindici anni di convivenza; e ci fu anche
il matrimonio di Cristiano.
Nel 1990, dopo sei anni di silenzio, uscì il nuovo album Le Nuvole, sicuramente
il disco più apertamente politico di tutta la produzione del cantautore, che
tocca il suo apice con La domenica delle salme.
Nel 1991, a distanza di sette anni dal suo ultimo tour, Fabrizio tornò a calcare
il palcoscenico con rinnovato successo, traendone l'LP dal vivo Fabrizio De
André 1991 - Concerti.
Nel 1992, anno delle Colombiane, Genova festeggiò con un'esposizione e lavori
per svariati miliardi i cinquecento anni della scoperta dell'America: De André
venne invitato a partecipare e ad esibirsi con Bob Dylan, ma rifiutò il benché
minimo coinvolgimento, ricordando anzi lo sterminio degli Indiani d'America.
Il 3 gennaio 1995, all'età di ottantatré anni, venne a mancare la madre Luisa,
unica della famiglia a morire di vecchiaia.
Nel 1996 uscì Anime salve, scritto in collaborazione con Ivano Fossati, che
ruota intorno al duplice tema delle minoranze isolate e della solitudine. Nello
stesso anno pubblica presso Einaudi Un destino ridicolo, romanzo scritto a
quattro mani con Alessandro Gennari.
Nel 1997 fu pubblicato Mi innamoravo di tutto, raccolta di vecchi brani scelti
dall'autore, fra cui spiccano la versione originale di Bocca di rosa e La
canzone di Marinella cantata in duetto con Mina.
Nell'estate del 1998 fu costretto a interrompere il tour seguito ad Anime salve.
La tac, eseguita il 25 agosto, non lasciava speranze: tumore ai polmoni.
Appena pochi mesi dopo, alle ore 2.15 di notte dell'11 gennaio 1999, Fabrizio
moriva presso l'Istituto Tumori di Milano, dov'era ricoverato, assistito sino
all'ultimo momento dai suoi cari.
Una folla commossa, di oltre diecimila persone, ha seguito i suoi funerali,
svoltisi il 13 gennaio nella Basilica di Carignano, a Genova. Su quel mare di
umanità svettavano la bandiera del Genoa (la sua squadra del cuore) e quella
anarchica (a testimonianza e ricordo del suo "credo" politico, o meglio del suo
"modo d'essere").
Al cimitero di Staglieno, nella cappella di famiglia, "abita eterno".
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